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Testo Luca Sartini mostra Spazio Natsu Toyofuku - Milano

Testo Luca Sartini mostra Spazio Natsu Toyofuku - Milano

Dove ci portano le Cel-libellule di Walter Puppo? E perché ci liberano la fantasia? 
Walter Puppo, scultore e pittore, vive la materia nella sua anima, nel suo abbraccio ampio. Un esistenzialismo della sostanza, la pittura che tracima  in scultura e viceversa e che si offre al nostro sentire. Così la materia non è bruta, è spirituale, intelligente, colta, perché ha in sé tante risposte. La radice che la anima, non è ferma, ha impressa la Storia dell’Umanità che delle tempeste e dei cataclismi ha dovuto far tesoro. Facce, rilievi, gocce, catene, compensati: la sua è arte d’impronte, di simboli, di forme, di cornici materiche, di colori strozzati, di materiali diversi che comunicano tra loro, d’incastri e di sovrapposizioni continue, di composizioni estetiche e d’intrecci metafisici. Puppo ha seguito le geometrie della sua mente e ha dato presto le dimissioni dalla vita ufficiale delle accademie, dalla via diretta dello sguardo che mostrava la crosta, che lisciava con i pennelli, che non raccontava più il sogno, che stordiva la vita e la morte, decorandole con sterile manierismo. Solo forma asciutta, fame, sostanza, sottrazione, contrasto, ribellione e colore. Solo essenzialità e apertura, anche al dubbio. Come lasciarsi andare alla visione pura? Come superare il Teatro del già detto? Come assottigliare il mistero? Come ridefinire l’armonia della leggerezza delle forme sospese? Come   far viaggiare ossigeno e globuli rossi, stando in guardia contro il compiacimento e latitando dalla galera delle Gallerie più alla moda? Per prima cosa gli è stato necessario ridare nome all’opera artistica per non perdere forza. Che da folla, da arte collettiva, è diventata uno, unicità precisa e indispensabile, il grumo della perfezione cercata. Che da attimo è diventata Tempo e Tempio. Che, persi i modelli della tradizione, ha gettato in avanti la sospensione, il surplace e il tuffo, insomma l’armonia finale. Un taglio materico nello Spazio, in una ricerca assoluta del sacro e della sensualità perduta. Il santo Graal dell’inconscio a portata di mano, della mano che indica il percorso visivo di Walter Puppo. Non più allora il solito specchio, il consueto riflesso, la correzione e l’Ego da soddisfare. Né la naftalina nauseabonda da museo. Ma la crescita, la proliferazione e l’esplosione della Vita. La Durezza   che si scioglie in geometria di stati e strati d’animo. Un’astronave in Cielo, la sua Arte di tracce, che riporta continuamente l’umanità dagli Ufo e non viceversa. Vengono sicuramente prima le sue Cellule della fantascienza e degli stessi Ufo. Lui che è nato in un’isola, a Portoferraio in Toscana, lo sa bene, com’è intenso il mare che ci gira intorno alla testa e al cuore, spazio blu infinito di “Solaris”. Come affiorano le geometrie dei sassi e degli scogli. E come brillano  le scaglie dei pesci e come la materia fa la danza dei dervisci. Che annunciano la vicinanza alla riva e alla quotidianità dolente. Il mare di acqua e sale, di presenze, di giochi di bambini, di silenzi, di pieni e  di vuoti, di Soli e di Lune, di fermo immagine. La scomposizione della realtà incomincia da qui, dalla deposizione dei significati, siamo organismi puri, siamo orgasmi cellulari colorati. Io mostro quello che rimane  e che mi manca, così afferma Walter nell’atto del fare. L’eterno incontro col maschile e il femminile, con le energie della conservazione e con il viaggio della materia nel tempo. L’eterna perdita di peso e di gravità della fantasia. La guerra dello stare dentro la Natura. Qui nel contornare c’è l’integralismo dell’orgoglio di esistere e di dire sommessamente quello che piace. Del sapere con metodo chi siamo e cosa dobbiamo tenere assieme. La cellula come genesi, nascita e ultima scelta possibile. Le cellule come mani aperte a formare un cerchio. Le cellule arcane che spaventano per la loro strana perfezione. I ritagli di continenti africani o di paesi lontani che si arrampicano sui muri di mappe e di percorsi d’arte. Aura-soma di Rothko per palati fini. Per questo la geometria sottile delle cose non dorme mai. E’ magica ed esoterica. E’ traccia che scuote e che graffia. Un atto d’amore per qualcosa che si trasforma e ci consola solo in parte. Atomi e tessuti di vita cresciuti come ciuffi di erba ai bordi di un prato. Ed ecco l’epifania del risultato. Occhi cavi di statue tra le rovine. Ventri pronti ad ospitare il domani. Cerchi metallici di biciclette dalle ruote sgonfie. Anelli calcolati per dita enormi di giganti. Cipolle dorate, tagliate e scavate con asce preistoriche. Panni di giubbe medievali di cavalieri e paggi, stesi al vento. Manette aperte alla libertà di essere. Perché le cellule, queste cellule, non sono fisiognomica o studio dell’organismo o semplice esercizio di stile, sono Arte. E follia. Perché necessitano di raffronti concettuali. A cosa veramente alludono? All’infinito o al passato che ci insegue? Alla precarietà o alla ripetizione? Forse all’acqua che cancella i disegni sulla rena, prima di lasciare qualche sasso, conchiglia e ramo o alle impronte di granchi zampettanti. Bisogna guarire l’attesa per comprenderle fino in fondo, cominciando a guardare lo spazio da lì, dalla caduta dei fronzoli e dei cascami. Da ciò che sono e da ciò che non tengono più. A chi appartengono queste nuvole di materia? E dove arriva la zattera di queste creazioni? Walter Puppo continua a riprodursi di cellule. A sfamarsi di atomi. A contare i suoi macro organismi. L’Arte trasforma i corpi di cellule importanti in luci vive di attimi vissuti. Siamo tutti un po’ incastrati dall’ipnosi del risultato che c’è e che è urlato. Non ascoltiamo più la materialità piatta. Dalle cellule si aprono feritoie, finestre, campi, cieli, macerie di soffitti e bunker e forse voli di uccelli e di umani che stringono sempre più il loro cerchio fino ad arrivare al punto o all’Omega.  

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